I pini di Armo portano impressa nella corteccia la testimonianza ancora visibile di una pratica ormai perduta relegata fra i ricordi del tempo in cui dal bosco si prelevava tutto quanto era possibile sfruttare. Così avveniva per la resina, prezioso composto prima dell’avvento della chimica organica.
L’abitato di Armo è situato ai piedi di un bosco di pino silvestre, frutto di un rimboschimento effettuato dall’amministrazione austro-ungarica nei primi anni del Novecento. Lo scopo dell’impianto si intuisce incamminandosi fra gli alberi ed avvertendo ancora qua e là, sotto i piedi, le mobili ghiaie ormai rinsaldate, che avrebbero altrimenti minacciato la frazione ad ogni temporale. Si può dire, a distanza di anni, che il rimboschimento di protezione è perfettamente riuscito ed è probabile che, se non interverranno traumi come incendi o altri eventi distruttivi, tra qualche decennio l’origine artificiale del bosco diverrà illeggibile.
La tecnica di estrazione della resina è facilmente immaginabile osservando i segni non del tutto cicatrizzati che questa pratica ha lasciato: veniva usato il metodo detto a “spina di pesce”, attuato mediante incisioni a V, profonde un cm circa, sul legno librato dalla corteccia. Alla base delle incisioni il liquido riempiva piccoli recipienti dai quali veniva periodicamente raccolto. I Pini di Armo hanno subito un solo ciclo di resinazione, su un lato dell’albero. Il Procedimento completo, prevedeva invece l’incisione anche sugli altri lati, secondo intervalli, di circa cinque anni. La Valvestino doveva essere una discreta produttrice di trementina.
Giuseppe Zeni, lo storico profondo conoscitore di questa terra, racconta di un commercio fiorente con la vicina Repubblica Veneta, che impiegava la resina nella manutenzione della propria flotta, e suggerisce l’ipotesi suggestiva dell’origine del toponimo “Fornèl”, intercluso nella foresta demaniale sulla destra idrografica della Val Droanello, attribuendola alla presenza di un impianto per la raffinazione della resina per ottenere la trementina. Se l’ipotesi è attendibile, non è da escludere che a fianco della raffineria di trementina vi fosse anche un impianto di distillazione secca del legno per la produzione di pece navale (pece nera) che veniva usata proprio per calafatare le navi.
Inoltre, dall’ Abete bianco, chiamato localmente Avèz, veniva estratta un’altra profumata resina. La resina di abete è stata utilizzata fino dall’Età della Pietra per le sue proprietà curative e come simbolo di vita e prosperità. Anche nell’ambito della religione Cristiana l’abete è sempre stato considerato emblema di vita. Albero maestoso tipico delle foreste e delle montagne dell’emisfero boreale, l’abete produce una resina dolce, aromatica con note boschive.
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